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Sanità tra alti (pochi) e bassi (troppi)

In questo momento storico in cui i numeri sono attenzionati in maniera quasi morbosa, il rapporto Osservasalute 2020 presentato la scorsa settimana (e consultabile liberamente online sul sito dell’ente) diventa un supporto fondamentale per poter leggere con chiarezza e lucidità quanto successo in Italia nell’ultimo anno e mezzo.

La pandemia non è ancora del tutto sconfitta, ma già si può notare l’impatto devastante che il Covid-19 ha avuto su tutti gli aspetti della nostra vita.

Riduzione dell’aspettativa di vita che cala in un anno di tutto il guadagno ottenuto nel decennio precedente, aumentata mortalità per cause quali demenze e diabete, crollo del Pil del Paese di almeno 5 punti percentuali in un anno: è questo il prezzo che sta pagando l’Italia a oltre un anno dall’inizio della pandemia. Dal febbraio 2020 si sono registrati oltre 4 milioni 234 mila contagi e oltre 126 mila decessi, un numero tale da farla diventare la seconda causa di morte e che ha comportato una sensibile riduzione della speranza di vita della popolazione italiana (-1,4 anni, con punte di -2,6 in Lombardia tra gli uomini e -2,3 in Valle d’Aosta tra le donne). In Italia nel 2020 ci sono stati oltre 746 mila decessi, un numero decisamente elevato osservando la serie storica degli ultimi dieci anni, con un incremento di oltre 101 mila decessi rispetto all’anno precedente. Il Covid ha bruciato dieci anni di guadagni in aspettativa di vita: a livello nazionale la variazione tra il 2019-2020 di questo indicatore è stato pari a -1,4 anni per gli uomini e -1,0 anni per le donne. La pandemia poi, ha concorso al peggioramento delle condizioni di salute di persone in condizione di particolare fragilità, come dimostra l’aumento, rispetto alla media 2015-2019, di altre cause di morte, quali demenze (+49%), cardiopatie ipertensive (+40,2%) e diabete (+40,7%).

Come evidenziato più volte, devastanti sono state anche le conseguenze sull’economia: i dati indicano che nel 2020 il Pil è diminuito del 5,1% rispetto al 2019; il calo osservato è, in parte, dovuto al rallentamento delle attività produttive e dei consumi.

Le attività che hanno subito maggiormente la crisi sanitaria sono quelle relative ai settori legati al turismo e alla cultura che hanno subito una riduzione del 19% rispetto al 2019. “Nel nostro Paese, il Servizio sanitario nazionale ha mostrato i suoi limiti, vittima della violenza della pandemia, ma anche delle scelte del passato che hanno sacrificato la sanità in nome dei risparmi di spesa”, afferma il professor Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni Italiane, e tra gli esperti che hanno collaborato al rapporto. “Ci vogliono più risorse e innovazione, perché la fragilità del sistema è apparsa in tutta la sua drammaticità durante questa pandemia. Si deve tornare a investire nella ricerca, perché l’innovazione tecnologica porta esternalità positive in tutti i settori dell’economia”.

Un aspetto che sembra essere tornato al centro del dibattito è quello dell’aumento delle risorse a disposizione del Servizio sanitario nazionale. Se infatti nel 2021 il finanziamento è stato già portato a 121 miliardi, l’ultima legge di bilancio ha stabilito che tale finanziamento sarà incrementato di 823 milioni di euro per l’anno 2022, di 527 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025 e di 418 milioni di euro annui a decorrere dal 2026.

Di buon auspicio – secondo gli esperti dell’Osservatorio – anche il contenuto del recente documento sul Piano nazionale di ripresa e resilienza che riconosce l’importanza del ruolo dell’assistenza sul territorio, la quale costituisce la prima linea di difesa del Ssn.

Fin qui dunque il quadro generale. Ma in questo contesto, come reagisce l’Umbria? La realtà dei dati ci dice che nella nostra regione gli ultimi mesi sono stati di luci e ombre. A partire proprio dall’aspettativa di vita (come si può notare anche nei grafici in alto), che resta sì ai vertici nazionali, ma che vede comunque una netta battuta d’arresto. Nel 2020 la speranza di vita stimata alla nascita è pari a 81,1 anni per gli uomini e a 85,6 anni per le donne, contro un valore nazionale rispettivamente di 79,7 per gli uomini e 84,4 per le donne. Come detto però, l’impatto della pandemia è stato fortissimo, tanto da far perdere 1 anno netto agli uomini rispetto al 2019, e circa 6 mesi alle donne.

La perdita insomma c’è, anche se non è marcata come nel resto del Paese. Dove invece la nostra regione è pericolosamente sotto la media nazionale, e ormai pure da parecchio tempo, è nel settore della natalità. Quella umbra è una popolazione sempre più anziana, e le donne fanno sempre meno figli: italiane e straniere insieme arrivano a 1,20 figli per donna, e il numero è in calo costante da più di dieci anni. Va poco meglio in Italia, dove questo numero sale a 1,27, ma è comunque ben lontano dai 2,1 figli per donna che garantirebbero un costante ricambio generazionale. Come detto, nell’arco temporale 20072019, si osserva che la ripresa dei livelli di fecondità, in atto a livello nazionale fino al 2010, ha registrato un andamento più altalenante. Considerando l’intero periodo in Umbria il tasso di fecondità è diminuito del -14,3% (contro un valore nazionale -9,3%).

Se dagli aspetti prettamente demografici passiamo agli stili di vita, ci sono parecchi spunti interessanti. A partire dal tabacco: nel 2019, la quota di fumatori tra la popolazione di età superiore ai 14 anni è pari al 21,7% (valore nazionale 18,4%). Considerando il periodo 2007-2019, si registra un trend in diminuzione (- 4,0%), ma dal 2013, tutti i valori sono superiori a quelli nazionali.

A livello nazionale si osserva un andamento decrescente (-16,7%), ma più lineare.

Rispetto all’anno precedente si osserva un aumento del 5,9%, in controtendenza con il dato nazionale (-3,2%). Non va meglio sul fronte della forma fisica: i maggiorenni obesi sono l’11,6%, contro il 10,9% di media italiana. Fatta eccezione per il 2009, i dati regionali sono stati sempre superiori a quelli nazionali, e addirittura negli ultimi 10 anni il tasso di obesità tra la popolazione di età superiore ai 18 anni è cresciuto dell’8,4%.

Se dall’obesità passiamo al più generico sovrappeso, le cifre sono destinate ad aumentare: sempre nella fascia over-18, il 34,2% della popolazione umbra è sovrappeso, contro una media italiana del 35,4%. Sul lungo periodo però la situazione sembra più confortante: rispetto all’anno precedente il dato è in diminuzione del -7,8%, a differenza di quello nazionale che risulta stazionario. Considerando l’intervallo 2007-2019, si è registrata una diminuzione pari a -2,8%, in tendenza con il trend nazionale in lieve diminuzione (-0,6%).

Dati frutto anche della scarsa propensione a fare sport, tipica di più di un umbro su tre (il 34,1%, che diventa 35,6% in Italia). In questo caso però, il trend è positivo: negli ultimi 12 anni infatti, si è registrato un decremento di persone che conducono una vita sedentaria pari al 20,9%, dato più che doppio rispetto a quello nazionale (-9,9%).

Per chiudere, analizziamo l’impatto economico dei dati che abbiamo appena visto: in Umbria il valore dell’indicatore relativo alla spesa sanitaria pubblica pro capite, nel 2019, è pari a 1.968 euro (con un valore nazionale di 1.904 euro). A partire dal 2012, la spesa procapite nella nostra regione è stata sempre superiore a quella italiana. Estendendo invece l’arco temporale agli ultimi 10 anni, la spesa sanitaria per ogni cittadino è aumentata del 7,1%, contro una media italiana del 2,4%. Insomma, la pandemia ci restituisce un’Umbria incerottata, da cui troppi giovani scappano e alle porte di un preoccupante inverno demografico. Imperativo far tesoro di questi numeri.

Francesco Mariucci

Nonostante il crollo generalizzato, la nostra regione tiene botta e resta ai vertici nazionali per aspettativa di vita. Ai minimi il tasso di fecondità delle donne. Male anche il confronto su obesità e tabagismo

In Umbria la spesa sanitaria pubblica procapite ammonta a circa 2mila euro a cittadino, 100 sopra la media nazionale

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