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Il dramma delle Rsa

Il Covid-19 per le Rsa (residenze sanitarie assistenziali) ha rappresentato in alcuni casi un vero dramma, in altri più fortunati una grossa difficoltà che ha messo in luce problemi già esistenti. L’Umbria, che era rimasta praticamente “illesa” durante la prima ondata della pandemia, si trova ora in una situazione molto problematica, con il contagio che dilaga in quasi tutte le residenze per anziani.

Tra le più colpite Fontenuovo, Casa San Giuseppe e la Seppilli a Perugia, l’Opera Pia Bartolomei Castori a Foligno, Le Grazie a Terni e l’Istituto Casoria ad Assisi. “A Fontenuovo è cominciato tutto con un primo caso di positività al Covid ad ottobre”, racconta Simonetta Cesarini , medico geriatra e responsabile sanitario della struttura di Perugia, appena guarita dal virus. “Si trattava di una ragazza del servizio civile. Non è stata lei a portare il coronavirus all’interno poiché simultaneamente abbiamo scoperto anche altri casi. Però da quella prima positività è cominciato tutto. Fino a settembre non abbiamo avuto nessun caso e abbiamo eseguito puntualmente il monitoraggio dei dipendenti effettuando tamponi periodici in collaborazione con la Asl. Anche gli anziani che si sono ammalati durante l’estate non sono mai risultati positivi”.

Cosa è andato storto? “Ancora non posso dirlo, la valutazione sarà fatta a posteriori”, afferma Cesarini. È invece sicuro della risposta Carlo Di Somma , presidente di Confcooperative Umbria, che riferisce di alcuni casi positivi fra i dipendenti di una cooperativa che gestisce una Rsa del ternano. “Andavano fatti molti più controlli. La Asl ha dato la precedenza al pubblico e di conseguenza queste strutture private, anche se accreditate, hanno ricevuto meno tamponi di quanti ne sarebbero serviti per tenere la situazione sotto controllo”. Confcooperative per ovviare a questo problema ha stipulato una convenzione con un laboratorio di analisi per avere tamponi più tempestivi e a costi contenuti. “Quello che sta succedendo non fa che evidenziare problemi che esistevano da prima del Covid – continua Di Somma. Ne è un esempio il mancato adeguamento delle rette e dei contratti dei dipendenti, fermi al 2005. Questo ha comportato una grossa difficoltà nel reperire i fondi da destinare alla messa in sicurezza delle strutture in tempo di pandemia e la mancanza di personale specializzato. In pratica succede che gli operatori si formano nelle nostre cooperative e poi preferiscono trasferirsi nel pubblico perché gli stipendi sono più alti”. “Manca da tanto tempo una riforma del settore”, aggiunge a questo proposito Cesarini. “Bisogna fare un piano assistenziale in cui l’assistenza domiciliare, le Rsa e gli ospedali diventino complementari e non alternativi. Una stessa persona può aver bisogno dell’ospedale per un periodo di tempo, della Rsa per la convalescenza e dell’assistenza domiciliare quotidianamente. Se quest’ultima viene a mancare però il peso grava tutto sulle Rsa e sulle famiglie”.

La polemica riguardo i contagi nelle Rsa si è accesa a tal punto nei giorni scorsi da scatenare affermazioni, da parte di certi esponenti politici, riguardo l’opportunità di chiudere le Rsa, luoghi di isolamento degli anziani, a favore di una più diffusa assistenza domiciliare. “Non è pensabile chiudere le Rsa a favore della sola assistenza domiciliare perché ci si accorge solo ora, in tempo di Covid, che sono sovraffollate. Sarebbe come chiudere gli ospedali a favore dei presidi territoriali”, commenta Carlo Di Somma. Le proposte però non mancano, anche in questo tempo buio. “Alcune delle nostre cooperative – continua Di Somma – hanno avanzato la proposta di poter gestire i Covid hotel, ovvero alberghi adibiti all’ospitalità di quelle persone che, asintomatiche o paucisintomatiche, non possono stare in isolamento nella propria abitazione. La proposta è stata fatta, adesso aspettiamo che la politica decida”.

Valentina Russo

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