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“Si può fare”. A Pisa è consentito visitare le terapie intensive: ne parliamo col primario di rianimazione

Paolo Malacarne è direttore del reparto di rianimazione all’ospedale di Pisa, dove da qualche settimana vige un’organizzazione di spazi ed orari che consente ai familiari di poter visitare i malati in terapia intensiva. “Per noi è normale: la presenza dei parenti vicino ai loro cari è un diritto, oltre ad essere terapeutica” ci racconta.

Ed il bello è che dal punto di vista normativo non ci sono ostacoli, perché nelle diverse ordinanze viene specificato che l’accesso ai familiari è vietato “salvo casi di particolare vulnerabilità e fragilità”. Da qui poi sta al primario assumersi la responsabilità di dire che quei malati sono fragili e vulnerabili, come il dottor Malacarne ha fatto, garantendo così un minimo di vicinanza in più a chi invece troppe volte è costretto a vivere la malattia in solitudine.

Ovviamente gli accessi dei familiari in corsia devono essere contingentati: può entrare solo un familiare ogni 2-3 posti letto, per non più di un’ora al giorno. La turnazione viene stabilita dal medico, che chiama la famiglia per dare gli aggiornamenti di giornata e comunica l’eventualità di una visita.Va da sé che i parenti in corsia si vestono e si svestono esattamente come medici e infermieri, in modo da garantire il massimo della sicurezza: “E infatti non abbiamo registrato nessun contagio in questo ambiente” ci tiene a sottolineare il dottor Malacarne.

L’aspetto più importante ovviamente è il beneficio che ne traggono tutti: “La presenza di un familiare, anche solo un giorno sì e uno no, è una motivazione fortissima per i malati”. Riassumendo in una frase: “C’è qualcuno che mi aspetta, io devo farcela”. Tanto da far dire ai contagiati, una volta negativizzati, “che è stata molto più importante quella mezz’ora con il casco, che tutto quello che c’è stato dopo”. Sulla stessa linea anche le famiglie: “Non ce n’è uno che ci ha detto di non voler tornare dopo la prima visita” dice il primario.

Una cosa ci tiene però a sottolinearla: “Noi parliamo sempre della vulnerabilità di malati e familiari, ma anche il personale sanitario soffre nel non avere la possibilità di un contatto diretto. Poter solo telefonare per dire che una persona cara è morta è un motivo di grande sofferenza psicologica”. E allora, visti i vantaggi, perché questa possibilità non viene sdoganata? “Io non vedo motivi per non far entrare i parenti nelle terapie intensive. Credo che ci sia più che altro un problema di pigrizia mentale da parte di molti rianimatori nel non voler piegare l’organizzazione alle esigenze dei familiari e dei malati. È più facile tenere chiuso con l’alibi del rischio di contagio”.

Francesco Mariucci

Familiari in terapia intensiva

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