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Se vogliamo fare sul serio, sarà dura

Ma cosa è questo parlare, ormai da anni, di “Sinodo della Chiesa italiana”: l’espressione confusa di un’esigenza reale, o un’infinita falsa partenza?

E questo insistere su una “Chiesa sinodale”, cosa vuol dire? Che può forse esistere una Chiesa “non sinodale”? No, assolutamente no. Lo chiarì il Vaticano II con la Lumen gentium - e non solo - quasi sessant’anni fa; e poi Paolo VI, con una precisione squisita e tagliente.

Semplicemente, una Chiesa non sinodale non può esistere, oppure non è la “Chiesa cattolica”. Ma se ecclesialità e sinodalità sono sinonimi, allora significa che l’insistenza sulla “Chiesa sinodale” non ha alcun valore: è la classica vuota retorica di un aggettivo che non aggiunge alcun significato al sostantivo.

E infatti, basta chiedere spiegazioni, e si vedono i trombettieri avventizi della “Chiesa sinodale” barcollare sfiatati, e affannosamente ripiegare su altri giochi di parole.

Chiariamo i termini

Se stringi su “Sinodo” (termine che ha anche un robusto significato canonistico), “Sinodo della Chiesa italiana” è un non-senso. La Chiesa cattolica è universale o particolare (diocesi). Sulle altre dimensioni, come quella regionale o nazionale, non ci sono “Chiese” ma solo strutture di servizio: utilissime, ma ausiliarie. Un Sinodo è una cosa troppo grande per loro.

Se invece sfumi, attenui e sbiadisci la nozione di Sinodo, quale sarebbe la differenza di ciò che ti resta in mano rispetto ai Convegni ecclesiali nazionali che si svolgono con cadenza decennale dal 1976? Soprattutto da quelli ben fatti, come ad esempio Roma 1976 o Verona 2006.

Se invece chiedi un Sinodo nazionale perché in realtà vuoi una “Chiesa democratica”, un Senato ecclesiale nazionale, allora è da brividi. All’obbrobrio teologico si unisce l’ignoranza storica. Altrove e in altri tempi fu tentato, ma evidentemente non se ne conoscono i risultati drammatici, o si fa finta di non conoscerli. Certo che al Sinodo si vota e vi sono anche rappresentanti eletti, ma la logica non è quella della competizione, bensì quella del discernimento.

O a qualcuno serve un altro palco ecclesiastico nazionale per proseguire gli show che quotidianamente ci somministra dai social? Come ci hanno insegnato Benedetto XVI e Francesco, le celebrities ecclesiastiche sono come le cavallette d’Egitto, e il loro narcisismo in talare (o senza) va combattuto come la peste. “E come potete credere voi che ricevete gloria gli uni dagli altri?” ( Gv 5,44). Così Gesù ai discepoli. Serve altro?

Se invece dire Sinodo è opporre alla dinamica “dall’alto al basso” la dinamica “dal basso all’alto”, allora o siamo in presenza di demagogia allo stato puro, oppure siamo in presenza di un disagio reale - quello di fronte a un clericalismo dilagante e mediocre, non di tutti i preti e vescovi, e di troppi laici e laiche - che si esprime in modo confuso e autolesionista. “Basso/alto” senza “alto/basso” è irresponsabilità, “alto/basso” senza “basso/alto” è religione oppio dei popoli.

Il caso Umbria

Serve parresìa : ovvero libertà, intelligenza, coraggio, franchezza, responsabilità, amore tutto insieme. Ministero vissuto come responsabilità e servizio, perché alla base c’è il battesimo e non l’Ordine, o almeno questo insegna la Chiesa. E chi trova fastidiosa la eguale dignità di tutti i battezzati e battezzate nella Chiesa, forse cercava una congrega, non la Chiesa cattolica.

In Umbria, nella nostre Chiese particolari, come si fa a parlare di sinodalità, se non si spiega prima come allo stupendo lavoro dell’Assemblea ecclesiale regionale di Foligno (ottobre 2019) la Ceu abbia risposto con un documento “a prescindere”. Un documento con molte cose giuste (ma altre meno), talmente giuste che potevano andar bene al Polo Nord e nel Sahara, e pure in qualsiasi tempo. Una Ceu che ancora non ha raccolto l’invito - garbato e discreto - a riprendere il dialogo, venuto dalle istanze laicali più qualificate.

Carissimi Vescovi umbri, è perché vi accogliamo (senza vescovo non c’è Chiesa), vi rispettiamo (non siamo certo migliori di voi) e vi amiamo (sì, ma davvero, non per finta e con un like su Facebook o su Twitter) che vi guardiamo negli occhi. E se vi guardiamo negli occhi, anche voi guardateci negli occhi. E vedrete che andrà tutto meglio.

Allora, che si fa? Buttiamo a mare l’idea di un cammino sinodale? Neppure per sogno.

Semmai accogliamo e ripuliamo questa idea per poterla poi prendere davvero sul serio.

Adesso è ora di...

Le parole con cui Papa Francesco si è rivolto recentemente all’Azione cattolica, saggiamente rilette e commentate da mons. Brambilla alla recente Assemblea dei vescovi italiani ( www.chiesacattolica. it/wp-content/uploads/ sites/31/2021/06/01/Relazione-Brambilla_Assemblea.pdf ), offrono, queste sì, un buon punto di partenza.

Esse ci aiutano a capire che oggi dalla Chiesa, per la forza dello Spirito santo, si alza un grido: è ora di radicalizzare la nostra fedeltà all’opera avviata dal magistero del Vaticano II e dal pontificato montiniano. È ora di accettare che, al di là dei tanti segni di ostilità, quello che ci è dato da vivere è un kairòs , un tempo propizio per la fede e per la Chiesa. Che ciò che sembra ferirci, spesso non fa altro che imporci una fedeltà più radicale, più creativa, dove a vibrare sia la speranza e non il rancore.

A questa domanda di simpatia verso questo tempo, la risposta non viene dal metodo, se non dal mescolare tutti i metodi (“alto/basso” e pure “basso/ alto”). Non troveremo però alcuna risposta se non ne testeremo tante – appunto – con franchezza ed intelligenza, spirito di ascolto e sano agonismo. Con la consapevolezza che la fede cristiana ha un elemento conoscitivo e oggettivo che non è a disposizione di alcuno, e allo stesso tempo non è mai compreso una volta per tutte.

Sinodo, allora? “Anche”, se piace. Ma soprattutto non Convegno di buone maniere, bensì franco confronto su tesi, su letture di questo tempo – proprio questo tempo – in cerca di quei segni che mostrano il Regno che viene (cfr. Gaudium et spes , nn. 3-4).

Discernimento

Sinodo? Sì, chiamiamolo pure Sinodo. L’importante è che capiamo cosa significa: uno straordinario sforzo di discernimento ecclesiale. Discernimento, termine e processo che Francesco ha avuto il grande merito di riportare all’attenzione di una Chiesa che lo aveva in gran parte rimosso e occultato. Discernimento, termine con cui il card. Martini spiegava il vero significato della “scelta religiosa” della Ac di Bachelet. “Scelta religiosa”: credere e praticare la fedeltà al Vangelo nella libertà responsabile di ogni scelta. E ricordiamoci: se facciamo sul serio, sarà dura. Quasi tutti i grandi periti e vescovi del Vaticano II nei vent’anni precedenti (da Montini e De Lubac in giù) avevano dovuto sopportare dosi massicce di penosa invidia ecclesiastica, fino ai rimproveri e alle censure più sbagliate e acrimoniose.

Quanto sarà dura ce lo ha fatto capire per l’ennesima volta in questi ultimi giorni Papa Francesco, imponendo uno stabile ricambio ai vertici in aggregazioni cattoliche che magari ignoravano che la distinzione tra “Pietro” e “Giovanni” e la precedenza di Maria sull’uno e sull’altro (Von Balthasar) fosse uno degli irrinunciabili “criteri di ecclesialità”.

Sarà dura, ma “non molle e vile è il cristiano, bensì fedele e forte” (Paolo VI, Ecclesiam suam , n. 28).

Luca Diotallevi

membro del comitato organizzatore del Convegno ecclesiale umbro 2019 - presidente Ac Terni

Dalla Chiesa si alza un grido: è ora di radicalizzare la nostra fedeltà all’opera avviata dal magistero del Vaticano II. Questo è un tempo propizio.

Ciò che sembra ferire, spesso impone una fedeltà più autentica

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