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Come una nuova epidemia

Una vera e propria “epidemia moderna” che riguarda tre milioni e mezzo di persone in tutta Italia, a partire dai 12 anni fino ai 50: stiamo parlando dei disturbi del comportamento alimentare (Dca), ai quali il 15 marzo è dedicata la Giornata nazionale del Fiocchetto lilla. I Dca non sono patologie dell’alimentazione “ma dell’anima, disagi profondi; l’anoressia nervosa è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali nella fascia d’età 12-17 anni”, spiega la dottoressa Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta che dirige la rete disturbi comportamento alimentare dell’Usl Umbria1.

Parliamo di “disturbi molto diffusi e che nell’ultimo anno hanno avuto un aumento del 30% a causa di fattori di rischio traumatici legati alla pandemia: l’isolamento sociale, l’assenza della scuola e la chiusura in casa di tantissimi giovani”. Una diffusione confermata dai dati del ministero della Salute che evidenzia un abbassamento dell’età dell’insorgenza dei Dca per cui “la grande diffusione tra i bambini dagli 8 ai 10 anni ci fa capire che sono disturbi che interpretano il disagio contemporaneo - spiega la dottoressa - . Le consideriamo delle depressioni moderne che hanno preso il posto di altri disagi”.

Ma quali sono i Dca e come si riconoscono? “Dietro a questi disturbi c’è un’angoscia profonda che viene sfogata sul cibo - spiega la dottoressa Stefania Lanaro, vice presidente dell’associazione di volontariato Il Bucaneve - . Il corpo è il contenitore delle ansie e, in quanto parte visibile al mondo, viene usato come mezcorpo zo per manifestarle. I Dca sono molto variegati: parliamo spesso di anoressia, bulimia, binge eating , obesità ma non tutti i disturbi alimentari sono facilmente diagnosticabili perché solitamente rientrano nel campo dell’‘alimentazione diversa’, ad esempio quella ossessivamente dedicata al cibo sano, oppure la vigoressia, cioè un’ossessione esagerata per il corpo, molto diffusa tra gli uomini. Ci sono anche disturbi con caratteristiche più giovanili, come la drunkoressia , un uso e un abuso di alcool che viene alternato a momenti di alimentazione con il cibo”.

Gli oltre tre milioni di casi sono solo quelli diagnosticati, “ma poi ci sono tutte quelle persone che non si rivolgono ai servizi e che pensano che la loro alimentazione sia parte di una loro normalità - spiega la dottoressa - . È su queste persone che il lockdown ha avuto il maggior peso con l’obbligo di stare in casa, dove c’era un controllo maggiore da parte dei familiari, e il cibo usato come rifugio alla solitudine (abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini degli scaffali dei supermercati vuoti dove mancavano farina e lievito). Il problema è che abbiamo esageratamente puntato sul cibo e a queste immagini facevano da contraltare le foto sui social di tanti, anche personaggi famosi, che mostravano il loro corpo trasformato. ‘Come arriveremo alla prova costume?’, si chiedeva la gente. Da qui il prolificare di video e app di personal trainer, o presunti tali, che davano consigli su come perdere peso. Questi messaggi hanno pesato soprattutto su coloro che già avevano un disagio rispetto al loro e ai loro pensieri”.

Un’altra forma di solitudine è quella che sentono i familiari delle persone che soffrono di dca a cui si rivolge l’associazione Coraggio di Perugia. “Noi vogliamo dire alle famiglie che non sono sole, noi ci siamo e capiamo il loro stato d’animo perché ci siamo già passati”, spiega la presidente Francesca Angelini. “Abbiamo notato l’aumento di questi disturbi durante l’ultimo anno legato a questo senso forte di solitudine ma anche al legame malsano tra le persone. La nostra è una società fondamentalmente squilibrata - denuncia la presidente - , da tutti i punti di vista. In questo momento le problematiche si stanno amplificando ed è molto difficile stare a fianco delle persone che soffrono di dca perché spesso i familiari hanno paura di ammettere che un ragazzo soffre di questo problema, si vergognano. Uno dei nostri compiti è quello di dire che non dobbiamo vergognarci ma sostenere chi ha questi problemi”.

“Non si muore di anoressia - spiega la dottoressa Dalla Ragione - , si muore se non ci si cura nei tempi giusti. È importante rivolgersi precocemente ai centri specializzati del ministero della Salute, presenti in tutte le regioni dove si segue un percorso specializzato, precoce e integrato con medici, psicologi, nutrizionisti, educatori e infermieri. Un approccio vincente - conclude la dottoressa Dalla Ragione - che in questo momento ci sta dando dei risultati molto buoni”. Per informazioni, esiste anche un numero verde Sos Disturbi Alimentari: 800.180969.

Annalisa Marzano

Anoressia, bulimia, binge eating.

In Italia 3 milioni e mezzo di persone hanno disturbi alimentari.

Un’impennata causata anche dai traumi psicologici legati alla pandemia

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