Chiesa sinodale
Con lo sguardo rivolto al percorso parallelo del Sinodo dei vescovi convocato da Papa Francesco e del “cammino sinodale” indicato dal Santo Padre per la Chiesa italiana, si riunisce questa settimana l’Assemblea pastorale della diocesi di Gubbio. Due percorsi che - seppur distinti - si incrociano tra loro e interpellano le comunità locali dei fedeli, come quella eugubina, chiamate a riflettere sulla vita della Chiesa oggi, per affrontare i tempi che ci troviamo davanti, a cominciare dal post-pandemia. Ne parliamo con il vescovo della diocesi di Gubbio, mons. Luciano Paolucci Bedini.
Da dove può ripartire la Chiesa italiana, chiamata dal Papa ad avviarsi in questo “cammino sinodale”?
“Credo che i nodi siano principalmente quelli di una Chiesa italiana ben strutturata, tradizionalmente radicata nel territorio, che però oggi si trova ad affrontare un bisogno nuovo di annunciare il cuore del Vangelo a una cultura che ha stravolto i percorsi tradizionali. Perché, se è vero che ancora in Italia ravvisiamo gli estremi di una tradizione cattolica abbastanza radicata, è vero pure che il percorso della secolarizzazione, la modernità, la cultura radicale di oggi evidentemente presentano il ‘conto’, specie in quella porzione di Chiesa che guarda più verso i giovani, le giovani famiglie e le future generazioni. Ecco, lì c’è bisogno di rimettersi in ascolto dello Spirito, per trovare modalità nuove e assetti nuovi per continuare a vivere e annunciare il Vangelo”.
In questo contesto, la Chiesa eugubina apre il nuovo anno pastorale con l’Assemblea pastorale dedicata proprio al “cammino sinodale”. Un itinerario già iniziato negli anni scorsi in diocesi...
“Noi ci siamo mossi, negli ultimi anni, sempre nell’alveo dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium , il grande appello che il Papa ha fatto alla Chiesa per un rinnovamento e un rilancio dell’evangelizzazione. Lo scorso anno abbiamo iniziato a ragionare con il metodo sinodale e purtroppo le difficoltà del Covid hanno frenato altri passaggi che erano previsti. Io mi sono accorto di una cosa, e la rilanciamo all’assemblea di quest’anno: prima di far camminare il popolo di Dio con uno stile sinodale, occorre che questo metodo sia appreso, perché noi non siamo così abituati, anche nelle nostre parrocchie e nelle nostre diocesi, a pensare, ragionare e agire con stile sinodale. E allora io vedo bene quest’anno che almeno la prima parte dell’anno pastorale sia dedicata a crescere insieme, formandoci sul metodo della sinodalità, così da poter rispondere a questi due grandi appelli del Sinodo dei vescovi e del cammino sinodale della Chiesa italiana che chiederà entro il 2022 al popolo cristiano di esprimersi, di raccontare la propria fede, ma anche di dare il proprio contributo per questo cammino di rigenerazione, aggiornamento, di cambiamento della Chiesa, italiana e universale. Un percorso annuale di formazione e di ‘allenamento’ - mi verrebbe da dire - al metodo sinodale, da fare laici e pastori insieme”.
C’è un secondo obiettivo che il Vescovo sta mettendo a fuoco per la Chiesa eugubina, giusto?
“Sì, parallelamente vorrei proporre anche un altro che percorso, che va sempre nella stessa direzione. Ma che è ancora più concreto. Io credo che la Chiesa italiana abbia una tradizione di discernimento comunitario e pastorale di grandissima ricchezza dal Concilio a oggi e questo lo testimoniano tutti i documenti del magistero pastorale, davvero di grande ricchezza e intuito pastorale e non li credo superati. E allora, vorrei proporre che la Chiesa di Gubbio possa sperimentare alcune indicazioni concrete, su alcuni ambiti della pastorale, che in questi tre anni possono essere vissute concretamente: nella catechesi, nella pastorale familiare, in quella dei giovani, nella vita delle comunità. Per tre anni vivremo concretamente queste indicazioni. Poi, le verifichiamo proprio con quello stile sinodale che siamo chiamati ad assumere. Sono scelte che i vescovi hanno già indicato più volte e a me sembra che al cammino della sinodalità della Chiesa italiana e anche della Chiesa di Gubbio sia mancata proprio questa scelta condivisa da mettere in pratica”.
In un tempo di vaccini e di “antidoti”, può essere questo cammino quella “medicina” che cura la Chiesa in sofferenza, anche a livello locale?
“Sì, può esserlo se usiamo due attenzioni che la stessa pandemia ci ha sottoposto. Da un lato, non dobbiamo smarrire i tesori preziosi e intramontabili della Chiesa cristiana: la nostra liturgia, la parola di Dio, la condivisione fraterna, la carità. Questi tesori dobbiamo solo continuamente rimetterli in gioco, come doni che Dio stesso ci ha fatto attraverso la testimonianza del Signore Gesù. L’altra cosa sulla quale dobbiamo scommettere è che tutto passa e continuamente si rinnova dentro le relazioni personali. Credo che tutti questi tesori vadano rigiocati dentro la comunione delle relazioni personali che a tutti i livelli noi dobbiamo riattivare”.
Daniele Morini
L’Assemblea pastorale dello scorso anno
Paolucci Bedini